L’uomo che schioccava le dita
Ora sono fuori e sto continuando a piangere. Cammino. Mi infilo tra la folla a testa bassa. Piango fino a casa mia. Nove chilometri di lacrime. Sassolini disgregati di un Pollicino perduto, alla deriva. Sul filo del rasoio dei selciati dell’esilio. Viottolo innevato di questo altrove in capo al mondo che si apre sul nulla.
Un romanzo che narra due storie: quella del Colonnello, uomo di fiducia del Comandante Supremo della Repubblica teologica e ora richiedente asilo in un non specificato paese del nord europa e quella di Vima, la detenuta 455 della prigione di Devine, ora interprete presso il dipartimento per i diritti umani del paese di accoglienza. Entrambi allo stesso tavolo, provenienti da due realtà opposte: lui il torturatore e lei la torturata. Vima è la detenuta del No urlato che ha fatto tremare la prigione di Devine per il suo silenzio e la sua forza. Lui è il Colonnello incaricato di capire il motivo per il quale le torture non hanno effetto sulla detenuta 455. L’ incontro tra i due è un viaggio a ritroso nel passato di entrambi. Per Vima la scoperta di una parte della propria storia e della propria miracolosa e inspiegabile liberazione. Per il Colonnelo è il modo di raccontare la sua verità all’ amata moglie. Le loro storie intrecciate nel passato, si intrecciano nuovamente nel momento in cui la loro libertà diventa separazione e perdita.
Il romanzo alterna le due voci narranti tra presente e passato attraverso una lingua forte immaginifica e fluida. Ci sono pagine di momenti crudi, di descrizioni senza sbavature che sono un’accusa potentissima contro tutti i regimi e contro tutte le vessazioni. Un libro bellissimo e straziante.
E il passato? Si può cancellare il passato con un gesto della mano?
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