Due Vendette
La storia degli ebrei in Terra d’ Israele e del Sionismo, con tutto il rispetto, non è fatta soltanto di comitati e dispute ideologiche e valori e condizione della donna e rapporti fra arabi e Ben Gurion. Si tratta prima di tutto di amori e odi e nascite e morti e vendette, e famiglie – papà e mamma, fratello e sorella, marito e moglie, nipoti e pronipoti, e altro che ponti d’oro, piuttosto carretto di legno con fucile e vacca e albero e moglie: è così che si è fatta la strada in ogni dove, così che si è fatta anche qui.
Il punto, su cui ruota tutta la narrazione, è due vendette, lontane tra loro nel tempo, ma legate da vincoli familiari. Due fatti: il primo in una notte buia e piovosa del 1930: un giovane contadino, Nahum Natan, figlio di un illustre rabbino sefardita di Istanbul, Elihau Natan, salito in Terra Promessa perché innamoratosi del sogno sionista, muore all’improvviso per un colpo d’arma da fuoco. Secondo fatto: sotto un enorme carrubo, a lui ben noto, all’interno di un wadi sul Monte Carmelo, Eitan aspetta adesso con pazienza qualcuno. La storia che lega questi due accadimenti è narrata da Ruta Taburi, nipote di Zeev, attraverso le domande della storica Varda Cannetti.
Alla fine degli anni ’20 del Novecento, Zeev arriva in pianura dal sud della Galilea, vicino al Monte Tabor, per partecipare alla costruzione di un nuovo villaggio, ai piedi del Carmelo. Un giorno lo raggiunge il fratello Dov, con un carretto. Sul carretto ci sono: una grande pietra in basalto nero, da incastonare nel muro della casa che Zeev sta costruendo e nell’ordine: 1 fucile, 1 vacca, 1 albero (gelso) e 1 moglie. Con quel carretto inizia la storia della famiglia Taburi. Attraverso continui cambi temporali si intrecciano il passato e il presente della famiglia, del villaggio, delle generazioni. La storia svela personaggi intensi e complessi. Un storia sui pionieri sionisti che racconta di antiche faide e di sanguinose vendette, attraverso intrighi e gelosie.
Ritengo più appropriatala copertina della versione originale, perché legata alla storia di Ruta.
E’ il metodo che mi aveva insegnato Eitan una volta, quando eravamo giovani e andavamo a fare escursioni e lui cercava di insegnarmi a orientarmi e come si fa in caso di errore: per prima cosa bisogna ammettere l’ errore. E’ difficile, me è indispensabile. Bisogna ammettere che ci siamo sbagliati e non incominciare a incolpare la mappa e men che meno la realtà, non cercare di sollevare montagne e spianare colline.
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