K. o la figlia desaparecida
K. ascoltava sconcertato. Persino i nazisti che riducevano in cenere le loro vittime, registravano i morti. Ognuno aveva un numero tatuato sul braccio. Ogni morto veniva cassato dall’elenco. E’ vero che durante i primi giorni dell’invasione, e non solo, c’erano stati massacri. Mettevano in fila tutti gli ebrei di un villaggio accanto a una fossa, li fucilavano, ci buttavano sopra calce e poi terra, ed era fatta. Ma i goyim di quel posto sapevano che i loro ebrei erano sepolti in quella buca, sapevano quanti erano e chi era ognuno di loro. Non c’era l’angoscia dell’incertezza; erano esecuzioni di massa, non un pozzo che inghiottiva la gente.
K è la storia di un padre alla ricerca della figlia desaparecida a San Paolo nel 1974 durante la dittatura militare in Brasile. Migliaia di persone furono sequestrate di nascosto nelle loro case, o per le strade, torturate, mutilate e uccise senza che il loro destino fosse ufficialmente comunicato ai familiari. Alcuni appartenevano a gruppi di guerriglieri che combattevano la giunta militare di destra, ma la maggior parte erano sindacalisti pacifici, militanti politici o intellettuali. Fin dai primi dieci giorni dalla scomparsa della figlia, K si trova a dover affrontare l’atmosfera di paura, intimidazione, inganno e paranoia che si respira in tutto il paese. Davanti al muro omertoso delle autorità, il padre si catapulta in un mondo di delatori, informatori, figure che lo illudono. Porte chiuse, atrocità, connivenze, ipocrisie e nessuna solidarietà. Adottando una tecnica narrativa polifonica che intreccia voci diverse, K o la figlia desaparecida di Bernardo Kucinski è un romanzo che fa luce sugli orrori dei desaparecidos e di quanti si sono messi alla ricerca dei figli scomparsi. La figura del protagonista del romanzo, K è ispirato al padre dell’autore, Majer Kucinski, un rivoluzionario polacco fuggito per tempo dalla Shoah. La figlia è ispirata alla sorella di Kucinski: Ana Rosa Kucinski, impegnata nella lotta armata e componente del gruppo Alianca Nacional Libertadora. Fin dalle prime pagine emerge inevitabile il paragone tra il vuoto lasciato dallo sterminio nazista e quello lasciato dalla figlia.
Adottando una tecnica narrativa polifonica che intreccia voci diverse, K o la figlia desaparecida di Bernardo Kucinski è un romanzo che riesce a evocare il senso continuo di minaccia e di sofferenza psicologica vissuta dalle famiglie dei desaparecidos che rimangono all’oscuro del destino dei propri figli. Agghiacciante il capitolo dal titolo “l’apertura” che rivela le parole e le tattiche di un gioco al massacro del militare responsabile dell’arresto della figlia di K e quello dal titolo ” la terapia” che narra la storia di Jesuina Gonzaga e degli orrori di cui è stata testimone come addetta alle pulizie della villa, prigione, bunker dove avvengono le torture e le sparizioni dei prigionieri. Tra le pagine emerge, malinconico, il ritratto della figlia di K, una giovane laureata in chimica, sposata con un compagno di lotta, innamorata dei libri e della libertà. Una lettura dolorosa, ma necessaria.
Ma come rifiutare la proposta del praticante, se il grande avvocato in persona gli aveva detto che l’habeas corpus gli sarebbe stato negato, perché i militari lo avevano proibito in caso di detenzione per motivi politici. Viviamo un paradosso – ricorda ricorda che furono queste le parole dell’avvocato – ammettono che ci sono motivi politici per arrestare la gente, ma non riconoscono di averla arrestata.
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