Il giudice delle donne
Il piano è semplice, assicura, e prevede che le donne in possesso degli stessi requisiti che la legge impone agli uomini – l’istruzione e il pagamento di un imposta sul reddito di almeno 19,8 lire annue – chiedano ai comuni di essere iscritte alle liste elettorali. E devono chiederlo in base all’articolo 24 dello statuto albertino, dove si afferma: tutti i regnicoli sono uguali davanti alla legge.
Marche 1906. La giovane Alessandra si trasferisce da Ancona a Senigallia, nel piccolo centro di Montemarciano, per la sua prima supplenza di maestra elementare. Alessandra alloggia presso un uomo anziano che vive con la nipote Teresa e il gatto Visciò. La giovane maestra si inserisce subito nell’ambiente scolastico e cittadino e si affeziona alla sua classe di quaranta maschietti. Fuori dall’aula scolastica, Alessandra comprende che la vera sfida dell’insegnamento è vincere i pregiudizi e le contraddizioni di un paese, l’Italia, diviso tra idee antiche e nuove prospettive. Nell’immediato la sfida più grande è togliere i bambini dai campi e portarli nelle aule scolastiche. A seguire, l’impossibile, richiesta di essere iscritte alle liste elettorali. E così dieci maestre marchigiane iniziano a sfidare il comune, la Corte di Appello di Ancona, che a sorpresa, nelle vesti del giudice Lodovico Mortara, concede loro l’iscrizione alle liste elettorali. Vittoria immensa, che precede quella di tutte le donne dei paesi europei. La notizia, divulgata dai giornali, ha infastidito la classe politica e imprenditoriale italiana. Il procuratore di Ancona prepara immediatamente il ricorso che sarà poi discusso dalla Cassazione a Roma. Le vicende di Alessandra e delle 10 maestre si intrecciano con le lotte quotidiane di un paese molto povero, da cui molti scappano per cercare fortuna in ” America.” E mentre molti aspettano le lettere da oltre oceano, altri sono costretti a lottare contro la miseria e i pregiudizi. La storia è scandita da tre voci narranti: Alessandra, la maestrina che durante la sua prima supplenza entra in contatto con Luigia, la maestra moglie del sindaco del paese di Montemarciano, da cui è partita la proposta del voto alle donne; Teresa, una ragazzina che ha perso la voce in seguito ad un trauma infantile e Adelmo, il fratello giornalista di una collega di Alessandra, convinto che l’ Italia sia tutta da inventare e raccontare. Un romanzo delicato, intenso e appassionato che racconta un episodio storico ingiustamente dimenticato.
Per levarmi la curiosità, gli ho chiesto subito perché, pur essendosi dichiarato contrario ( personalmente, contrario) al suffragio femminile, aveva poi emesso quella sentenza a favore… La sua tesi, in definitiva, era che il voto può essere considerato un diritto di libertà, cioè uno di quei diritti soggettivi ( libertà di pensiero, di espressione, di coscienza e via dicendo) che lo statuto albertino garantisce a tutti i cittadini, uomini o donne che siano. Salvo le eccezioni previste dalla legge. Previste e menzionate espressamente, perché non è lecito desumerle dal silenzio del testo: quando la legge tace, non vieta.
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