Le figlie del Capitano
Di certo fu una mossa temeraria prendere una simile decisione un martedì qualunque, entrambi in piedi con le mani intasca davanti alla facciata, ma la scelta di Emilio era del tutto coerente con il suo percorso e il suo abituale modo di procedere. Imbarcarsi quando e dove capitava, approdare dove meno se lo aspettava, cambiare lavoro, levare l’ancora, stabilirsi da qualche altra parte. Era la sua tendenza: lasciarsi trasportare da quello che la vita gli metteva davanti, senza volontà, senza criterio, finché il vento soffiava in un’altra direzione. E quel giorno d’inizio novembre 1935, una corrente imprevista lo aveva portato il Fourteenth Street, una zona palpitante di atmosfere sconosciute, incastonata tra due grandi avenues dell’immensa New York.
New York 1936, sulla Quattrodicesima strada, nel centro della comunità spagnola della città, viene inaugurato El Capitain. L’imprevista morte di Emilio Arenas, lascia le tre figlie e la moglie atterrite dal dolore e dalla paura della grande città. Le tre ragazze parlano poco l’inglese, hanno paura della metropolitana e considerano il resto del mondo oltre la Quattordicesima strada come le colonne d’Ercole. Catapultate a forza nella nuova vita, le sorelle Arenas saranno costrette a combattere per riuscire a integrarsi e a prendere la redini dell’azienda di famiglia: El Capitain. Mona, la maggiore con tutto il proprio coraggio affronta e attraversa la città per lavorare a servizio da Dona Maxi, Luz si divide tra il lavoro nella lavanderia degli Irigaray e il sogno di diventare una ballerina e Victoria, si arrende al matrimonio con un Luciano Barona. Sullo sfondo una città complicata, di immigrati e opportunità, di sogni e loschi figuri. Il sogno di riaprire El Capitain costa fatica e denaro a tutte e tre le sorelle Arenas, che affrontano le avversità con rinnovato coraggio, il coraggio di chi affronta un oceano per avere un’opportunità. Dedicato a tutti coloro che la vita ha costretto a emigrare, il romanzo racconta il coraggio delle donne che non si arrendono e che ricercano di un futuro migliore.
Perché siete immigrate. Perché siete analfabete, ignoranti e povere. Perché siete donne. Mettete questi fattori nell’ordine che preferite: il risultato non cambia. Avete tutte le carte in regola per vincere alla lotteria delle probabili vittime di abusi e ingiustizie.
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