I rifugiati
E mia madre, che non mi aveva mai abbandonato con lo sguardo sul ponte del barcone, stavolta lo fece. Per quante storie di fantasmi conoscesse, ce n’era una che non voleva raccontare, un tipo di compagnia che evitava ad ogni costo. Erano lì con noi, in cucina: i fantasmi dei rifugiati e i fantasmi dei pirati, il fantasma del barcone che ci fissava con quegli occhi che non si chiudevano mai, perfino il fantasma della ragazza che ero stata. Erano quelli gli unici fantasmi che mia madre temesse.
“Raccontami una storia, mamma” dissi. ” Ti ascolto.”
Otto racconti, otto frammenti di storie, otto persone e otto rifugiati accomunati dall’impossibilità dell’oblio, che pesa ogni giorno e ogni notte sulla necessaria ricerca di una nuova identità in un paese altro da quello di origine. Otto racconti di uomini e donne che sono stati giovani, che hanno vissuto il dramma di una guerra feroce e senza senso, come tutte le guerre, e il dramma della fuga, dell’esilio. La seconda possibilità che in realtà è senso di colpa per essere altrove e per essere sopravvissuti. Otto identità legate a una continua ricerca tra passato e presente, tra un qui e un lì geografico oltre che storico, ricerca fatta di domande senza risposte, perché il passato è un lungo silenzio: si tace per non ricordare.
I racconti sono storie di persone in equilibrio precario tra due culture, che faticano a trovare riferimenti e identità: ogni decisione è un dilemma che fa riemergere contrasti e disillusioni.
I racconti sono attualità e sono universali per tutti coloro che sono costretti a migrare, da ogni storia e da ogni geografia.
Un libro bello e straziante: riprendo e concordo con la definizione di Joyce Carol Oates
L’ambizione del professore era sempre stata quella di possedere molti più libri di quanti fosse in grado di leggerne: un desiderio alimentato dal fatto di essere stato costretto a lasciare tutti i libri che possedeva quando erano dovuti fuggire dal Vietnam.