Adua

Adua Igiaba ScegoTi sei salvata, Adua, da questa vergogna. Ora tu sei chiusa, pulita, bella. Sei come mia madre, come la madre di mia madre, e come tutte le donne degne di stima di questa nostra grande famiglia. Tu amadre, Asha la Temeraria, quella scema, si opponeva alla pratica, pensa. Diceva: ” Nessuno toccherà mia figlia, nessuno la infibulerà.” Per fortuna è morta. E ora tu sei salva, chiusa, senza quell’immondo clitoride a ricordarti che sei una donna.

Adua è una donna somala che vive a Roma da quando aveva diciassette. Hagi  Mohamed Ali detto Zoppe è il padre di Adua che nel 1934 lavorava a Roma come interprete per il regime fascista e  per  il conte Anselmi. Due vite intrecciate con la Storia dell’Italia, della Somalia e dell’ Eritrea. Due voci che scandiscono la narrazione, che si alternano nella ricostruzione storica delle vicende personali e familiari.  Zoppe è un uomo prigioniero della superstizione, della religione e del razzismo che ha vissuto durante gli anni a Roma. Adua è una donna intrappolata nel proprio passato e nelle proprie scelte. Adua vuole scappare dalla Somalia, dal padre, dalla sorella Malika e dalla matrigna Hagiedda Fardosa e dal regime tirannico di Siad Barre. Adua accetta senza compromessi il biglietto aereo che le viene regalato,insieme ad un passaporto e ad un visto per l’Italia, ignara delle condizioni.  Sia Adua che Zoppe, in tempi e contesti diversi si trovano nella medesima situazione di schiavitù, a dover barattare la  libertà con la dignità. Un romanzo intenso, che racconta il sogno di libertà e il desiderio di riscatto di Zoppe e di Adua, che si scontra con la realtà di Roma degli anni trenta per Zoppe e degli anni ottanta per Adua. La narrazione è la lunga confessione di Adua all’elefante marmoreo del Bernini che sostiene l’obelisco della Minerva, in piazza Santa Maria della Minerva a Roma.
Un libro che ci costringe ad affrontare il passato e a fare i conti con le ombre della nostra storia e del nostro presente.  Un romanzo necessario per comprendere, a prescindere.

Io volevo essere Marylin, volevo essere Audrey, volevo essere Katherine o al limeite una Kim Novak qualunque. Volevo ballare il tip tap come Ginger Rogers e fare le spaccate come Cyd Charisse. Volevo fiori da Gene Kelly e sguardi pieni di rispetto da un James Stewart di passaggio. Volevo gli abiti bianchi, le crinoline, gli sbuffi sulle maniche. Volevo che Billy Wilder facesse di me un’icona e che un Errol Flynn mi venisse a salvare. Ma più di tutto avrei voluto essere Ruby Dee. Ruby era nera come me. E non si è dovuta vendere. Ruby ha lottato per i diritti civili. Io non ho mai lottato per nulla.

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