Esilio dalla Siria
Rimanere o scappare? E’ una domanda che milioni di siriani si pongono quotidianamente. Rimanere significa morire o aspettare tempi migliori, consapevoli che l’incomprensione intorno alla questione non farà altro che allungare i tempi di un’eventuale soluzione. Scappare significa vivere l’esilio e venire a patti con l’amarezza che nasce dalla distanza e dal dolore di dover riaprire i cassetti della memoria per confrontarsi con quanto si è visto.
Un altro passo, origini, rimanere o scappare, il regno del silenzio, la Siria e la guerra, il fondamentalismo: un viaggio nella società e il paese di domani sono i titoli dei capitoli del libro che illustrano e analizzano la Siria, la storia della Siria e la terribile guerra civile in atto da cinque anni. Shady Hamadi, figlio di un siriano e di un’italiana, racconta il suo esilio, le sue partenze e gli incontri con i parenti siriani, in Siria prima e in Libano poi. Una storia personale che si intreccia con l’esilio del padre, con le carceri siriane, la drammatica morte del cugino Mustafa, con il viaggio di Samer, un borsellino per bagaglio e tanta determinazione e il ragazzo dell’ospedale di Tripoli pronto a uscire per combattere con un braccio solo. Una storia personale strettamente legata alla primavera siriana di un popolo che vuole l’emancipazione dalla dittatura e dal fondamentalismo. Attraverso il confronto con gli attivisti della società civile e con la gente di tutti i giorni, Hamadi dà volto e dignità alla Siria. Una realtà strumentalizzata e un campo di battaglia che è diventato una guerra che coinvolge tutto il medio oriente, la Turchia, la Russia. Una guerra terribile dove si sono usate armi chimiche, dove gli ospedali sono stati bersagli e dove le persone sono ostaggio di città contese da gruppi contrapposti. Una guerra che con i profughi ha varcato i confini europei, del Libano e della Giordania. Oggi si parla di tregua e non più di pace. Nell’indifferenza e nell’assenza di tutto il mondo la tragedia siriana continua sotto i nostri occhi. Una lettura necessaria per andare oltre i luoghi comuni e approfondire un dramma che sembra non avere fine, al quale non si vuole porre fine.
Perché solo oggi si invoca la pace? Perché solo oggi, di fronte allo spettro di un intervento americano, ci si sente in pericolo? Perché non si è avanzata la richiesta di pace il 25 maggio del 2012, quando i bambini a Houla, Homs, furono tagliati a pezzi? Perché non ci si è indignati di fronte ai massacri di Homs, Aleppo, Taftanaz e cento altri?
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