I ragazzi dell’esilio
Processo di riorganizzazione nazionale, è il nome dato dagli stessi golpisti al loro piano economico, politico e sociale per ” riorganizzare” l’Argentina.
Uccideremo prima i sovversivi, poi i loro complici, poi i simpatizzanti, successivamente gli indifferenti e infine gli indecisi, fu la dichiarazione di Iberico de Saint Jean, l’allora governatore di Buenos Aires.
Argentina, anni settanta: un’intera generazione di adolescenti dell’ambiente liceale di di Buenos Aires, politicamente impegnata, si ritrova perseguitata. Ragazze e ragazzi dai 15 ai 20 anni, sono costretti ad abbandonare il paese, divenuto teatro di violente perquisizioni, sparizioni e sequestri. Attraverso le testimonianze, raccolte decenni più tardi da Diana Guelar, da Vera VIgevai e da Beatriz Ruiz, vengono salvate le vicende dolorose che precedettero le partenze, le storie di militanza e clandestinità a cui seguirono la costante sensazione di paura e solitudine. Attraverso le testimonianze rivivono le utopie, le lotte, le incertezze e i dubbi e le fughe, fino alla drammatica decisione dell’esilio e i giorni, mesi e anni dell’esilio. Emerge nitido il repentino passaggio dall’adolescenza alla maturità di ragazzi giovanissimi, catapultati prima in una realtà di orrore e terrore e poi in quella dell’esilio: il dramma di una realtà straniera ed estranea che nelle solitudini evidenzia il senso di colpa per essere sopravvissuti agli amici. Una lettura dolorosa, ma necessaria.
Perché se ho ottenuto giustizia sul piano del riconoscimento, non l’ho avuta sula piano della verità. Continuo a non sapere come sono stati ammazzati i miei genitori, non conosco la loro data di morte, penso di sapere chi siano gli assassini perché il “Tigre” Acosta era il capo di mio fratello, quindi è stato lui a sequestrarlo. Siamo anche sicuri che Astiz ha partecipato al sequestro… Fa parte della terribile forza e perversione delle leggi di “obbedienza civile” e del ” punto finale”: permettono che chi sa la verità continui a occultarla. La conoscono e continuano a custodirla. Significa che la tortura continua. Sanno che ci stanno torturando e per questo lo fanno. E fino a che la giustizia in Argentina non li obbligherà a parlare, continueranno a tacere. Solo allora parleranno. Io non penso che l’Argentina possa incarcerare tutti i militari colpevoli, ma che cambi la legge e che dicano ” o parlano o vanno in carcere”. Questo si che li farà parlare. Obbligarli. Che si spaventino. Ch ei “Processi per la verità” seguano una metodologia processuale, che attualmente non esiste, affinché si imponga, finalmente, la Verità.
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