Istanbul Istanbul
In realtà è una lunga storia, ma sarò breve. Non si era mai vista una nevicata così a Istanbul.
Una cella, quattro uomini, dieci giorni e ogni giorno un capitolo che racchiude una storia dentro altre storie. E così attraverso le parole e le storie i quattro personaggi diventano gli uomini rinchiusi in una fredda e angusta cella. Un dottore, un barbiere, uno studente e un vecchio rivoluzionario. Di estrazione sociale diversa, di età e di orizzonti culturali differenti, in comune hanno solo la colpa di aver agito contro lo Stato. Tra un interrogatorio e l’altro gli uomini, nel lenire le ferite riportate dalle torture, interrompono l’immobilità del tempo della cella con le loro storie. Il Dottore racconta di un tempo lontano, Kamo il barbiere dell’amore per Mahizer, Kuheylan il rivoluzionario dell’infanzia e della scoperta del mondo attraverso il padre e Demirtay lo studente racconta la clandestinità e la solitudine della fuga. Una narrazione corale che pagina dopo pagina svela il filo che lega i quattro uomini nella cella. Nei racconti la città sopra la cella si intreccia con la città sotterranea del carcere, delle celle e delle camere di torture. La città della luce e quella dell’ombra, la città della vita e quella della morte, la città dei rivoluzionari e quella della brutalità del potere. Istanbul protagonista nei suoi mille contrasti e contraddizioni, una città dalle infinite realtà e dalle infinite storie. Una città di quattro uomini e una donna, l’unica nel carcere: Zine Sevda. Una figura enigmatica che parla attraverso le mani e le ferite degli interrogatori. Un romanzo che rappresenta la letteratura della denuncia politica senza la perdita di ironia e leggerezza. Allo stesso tempo dolorosamente necessario per comprendere l’attualità dei nostri giorni.
Al Dottore piaceva distogliere il nostro sguardo da lì e portarci nel mondo esterno. Aveva insegnato a farlo anche a me. Invece di parlare del dolore era meglio immaginare la vita fuori. Il tempo, che era fermo perché i nostri corpi erano imprigionati in quella cella, ricominciava a ticchettare quando la nostra mente vagava all’esterno. La mente era più forte del corpo; il Dottore diceva che era scientificamente provato. Ci ritrovavamo spesso a immaginare la vita fuori, per esempio condividevamo la gioia dei passanti sulla riva. Salutavamo le persone che ballavano su una barca vicino al litorale di Ortakoy con la musica a tutto volume.
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