La frantumaglia
Mia madre mi ha lasciato un vocabolo del suo dialetto che usava per dire come si sentiva quando era tirata di qua e di là da impressioni contraddittorie che la laceravano. Diceva che aveva dentro la Frantumaglia. La frantumaglia, (che lei pronunciava frantummàglia ) la deprimeva. A volte le dava dei capogiri, le causava un sapore di ferro in bocca. Era la parola per un malessere non altrimenti definibile, rimandava a una folla di cosa eterogenee nella testa, detriti su un’acqua limacciosa del cervello…Spesso la faceva anche piangere, e il vocabolo mi è rimasto in mente dall’infanzia per definire innanzitutto i pianti improvvisi e senza una ragione consapevole: lacrime di frantumaglia
Il titolo del libro rimanda immediatamente a un’eterogeneità di frammenti dell’io e del carattere autobiografico del testo e testimonia al tempo stesso la necessità dell’autrice di ricomporsi attraverso le storie del passato nel microcosmo personale senza dimenticare il macrocosmo sociale. I contributi che compongono questo volume sono i carteggi con i registi Mario Martone e Roberto Faenza e gli scrittori Paolo Di Stefano e Nicola Lagioia, oltre a Goffredo Fofi e altri giornalisti stranieri intervallati dai contributi dei due editori della E/O Sandra Ozzola e Sandro Ferri. La Frantumaglia è un dialogo, spesso strutturato in forma di intervista, dove i pensieri dell’uno contribuiscono a far nascere i pensieri dell’altro. Possiamo pertanto dire che La frantumaglia è la ricerca dell’autrice attraverso il confronto con il proprio passato e le tematiche riprese nei romanzi e questa riflessione su se stessa in quanto autrice implica una profonda riflessione sulla propria opera e sulla scelta di rimanere anonima e dunque estranea al percorso pubblico dei suoi romanzi ed è qui che si innesta l’altro aspetto del libro: un saggio critico dell’intera opera della Ferrante. Interessante lettura per comprendere cosa veramente si cela dietro e dentro le pagine dei libri dell’autrice.
La gelosia di mio padre era preventiva. Lui era geloso del piacere che altri uomini potessero provare a guardarla, a starle accanto, a parlarle, a sfiorare non dico lei, cosa inconcepibile, ma casualmente l’orlo del suo vestito. Era geloso dell’eventuale, era geloso della potenza di mia madre prima ancora che degli atti che nel caso avrebbe potuto compiere. Era geloso ob ovo, senza selezione, era geloso del fatto che mia madre, essendo un corpo vivo, si esponesse alla vita. Di conseguenza negli altri maschi mio padre non vedeva la fonte di ogni minaccia, tutt’altro. I probabili rivali erano lì, sull’altra riva, e non potevano fare altro che restare abbacinati dal flusso vitale di cui mia madre era la sorgente. Invece era il corpo di lei, in ogni gesto, il colpevole di quell’abbacinamento. Mia madre aveva la colpa nuda di essere fonte di piaceri possibili per altri.
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