Nelle stanze della soffitta
Ma come? Essere iraniano ed essere afghano erano la stessa cosa? Monsieur Juan non capiva quel che diceva. Se essere afghano non fosse stato diverso da essere iraniano, allora essere iraniano non sarebbe stato diverso neppure da essere turco, e quindi nemmeno europeo. In definitiva iraniano ed europeo erano la stessa cosa e dunque io ero non un’iraniana, ma un’europea.
Una giovane studentessa iraniana si trasferisce a Parigi per studiare medicina. Trova alloggio presso Monsieur Juan, un anziano spagnolo. La città e il palazzo sono una fonte inesauribile di scoperte che danno risposte ai molti interrogativi della donna. Il palazzo è un microcosmo etnico mondiale: la giovane indiana che si divide tra sari e jeans, il reduce americano del vietnam alla ricerca della Verità, l’imbianchino portoghese, i vicini africani con i loro nove figli. La giovane cerca di orientarsi in questo piccolo mondo quando monsieur Juan le impone Naim, il coinquilino afgano. Lo spazio ristretto diventa in realtà una nuova finestra sul mondo. Esattamente come il nuovo lavoro nell’obitorio musulmano della città. Una nuova prospettiva, un nuovo punto di osservazione della vita e della realtà. Lentamente la giovane abbandona i giudizi taglienti, il sarcasmo e il qualunquismo per una nuova identità più completa e cosmopolita che la rende capace di sentimenti e affetto. Interessante romanzo di letteratura di migrazione dal ritmo incalzante.
Finalmente un giorno, di fronte alla mia insistenza sul chiarire la vicenda della sua nazionalità in modo che io potessi regolare la mia posizione nei suoi confronti, fece spallucce e mi disse serenamente:
– Io sono io, tutto qui.
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