Otto mesi a Ghazzah Street
Gli uomini non ne escono bene da questo diario. Del resto neppure le donne ne escono molto bene. Scrivendo, all’inizio, ho detto che i sessi qui vivono in uno stato di profondo sospetto reciproco, ma adesso comincio a pensare che sia più uno stato di terrore reciproco. Prima di venire, non ero sicura che la gente venisse davvero mandata a morte per adulterio. Ma da quando abito qui, sulla “Saudi Gazzette” sono passati due o tre articoli di esecuzioni. Se te ne sfugge uno, c’è chi te lo ritaglia e te ne dà una fotocopia.
Arabia Saudita, Gedda, Ghazzah Street sono le coordinate in cui si trova improvvisamente Frances Share, dopo che il marito ha deciso di lasciare il Botswana per accettare il lavoro offertogli dalla Turadup. Ghazzah Street è un luogo senza storia e senza geografia, perchè tutto in continuo mutamento, le persone che vi si fermano, la terra e il mare. Gedda è un immenso cantiere, si costruisce ovunque: palazzi, ville e muri che segnano confini. Il regime saudita è corrotto e la maggior parte degli stranieri che sono di passaggio, sono avidi faccendieri. Frances si ritrova prigioniera di un’appartamento, in un piccolo condominio per giornate intere. Ambientarsi è difficile, guidare proibito, uscire da sola per strada un vero pericolo. Unico parentesi di libertà e di orizzonte è il terrazzo del piccolo condominio, dove Frances respira, senza trovarsi sempre un muro difronte. Le giornate sono un susseguirsi di vuoti e di silenzi, interrotti dall’arrivo del marito e a volte da inspiegabili rumori provenienti dal piano superiore, che però dovrebbe essere disabitato. Superando le diffidenze Frances inizia a chiacchierare con Yasmin, giovane donna originaria del Pakistane moglie di un importante funzionario della famiglia reale, e a frequentare alcune donne mogli di espatriati. Frances inizia così a scoprire un mondo di contraddizioni, di fondamentalismo religioso e di segreti inconfessabili, dove le donne sono vittime, ma anche complici. E così il mistero dell’appartamento vuoto diventa la chiave di interpretazione dell’intero regno saudita, un confronto e uno scontro al tempo stesso tra due culture, due mondi, due realtà troppo distanti per comprendersi. E attraverso le pagine, l’autrice scolpisce tutta la tensione della vicenda e la determinazione di Frances, che non si rassegna all’accettazione di una società che la vorrebbe chiusa in casa, preferibilmente madre, a cucinare per il marito e gli ospiti. Un romanzo potente ed estremamente attuale, nonostante sia stato scritto quasi 30 anni fa, nel 1988 e solo ora tradotto e edito in Italia.
Yasmin, appena tornata dalla banca con i gioielli, mi ha telefonato. Lo fa abbastanza spesso, è più facile che vestirsi da capo a piedi per attraversare l’androne. Mi ha detto che si era dimenticata di dirmi una cosa. Che cosa? Le donne, ha detto, non le lapidano davvero, al giorno d’oggi. Tirano loro qualche pietra per rispettare il rituale e poi le finiscono a colpi d’arma da fuoco. Questo sì che è stato un enorme sollievo. Mi sono dovuta mordere la lingua per non rispondere, ma allora è tutto a posto,no? Quanta misericordia.
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