Particelle
Ho poi scoperto qualcosa che meriterebbe di essere brevettato a mio nome. Ho scoperto che il mondo reale è, per certi versi, più virtuale del mondo virtuale, e viceversa. In effetti, quando sono a casa o a lavoro, o quando faccio visita ai miei genitori, io sono più virtuale che reale. Sono un impiegato virtuale, uno sposo virtuale, un figlio virtuale. Che io sappia, anche per gli altri è lo stesso.
Soheila Beski traccia il ritratto impietoso di un sessantenne ancorato ad un ipocrita modello di supremazia maschile. Un uomo mammone, irresoluto, pavidissimo, opportunista, vile, preda della libido ed attento a mantenere un decoro di facciata mentre perde lentamente il contatto con la realtà. L’ uomo di cui non conosciamo il nome, vive con ipocrisia ciascun ruolo della propria vita: figlio, marito, padre, amante, impiegato e amico. Ogni ruolo è una finzione che si rifà ad alla cultura religiosa imperante e alla doverosa misoginia. Il breve romanzo è una riflessione e una confessione, a tratti delirante, su vizi e difetti, norme e divieti che regolano la vita degli uomini iraniani. Una riflessione che è una sintesi e una grande allegoria dell’ eterno conflitto tra bene e male, definiti dalle ciniche opportunità che la condizione di maschio gli permette. Il risultato è il ritratto di un uomo senza identità, schiacciato dal peso realtà, sull’orlo del precipizio della propria esistenza. Finale reale, senza redenzione.
Per questi peccati, una confessione dietro una tendina, in un piccolo spazio buio, forse potrebbe essere utile ma poiché noi non abbiamo questo rito, abbiamo dovuto nasconderli da qualche parte dentro di noi.
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