Ritorno dall’India
Ma c’è una seppur minima misura di teatralità nell’atto del medico perché solo così, come per scherzo, si riesce a fugare l’imbarazzo naturale di quel perfetto estraneo che si spoglia davanti a noi perché gli si possa far spalancare la bocca, tastare le membra, ascoltare il cuore, frugare dentro gli organi sessuali. Ma laggiù in albergo, a Benares, accanto alle poltroncine di vimini laccate, non era stato solo teatro, ma anche un principio d’innamoramento.
Tel Aviv: il giovane tirocinante Benji Rubin accetta, senza troppo entusiasmo, di recarsi in India con il direttore amministrativo del suo ospedale, per riportare a casa la figlia gravemente malata. Inat ha contratto l’epatite durante il suo soggiorno in India e versa in condizioni critiche a Bodhgaya. All’ultimo momento si unisce la moglie del direttore amministrativo. Il viaggio in India è articolato e difficile, ma alla fine Inat viene riportata a Tel Aviv. Dall’India il dottor Rubin torna con una nuova percezione della vita e con un amore impossibile per una donna, la cui unica virtù sembra un enigmatico sorriso. Un innamoramento irrazionale, misterioso che lentamente toglie respiro a ogni cosa, tanto da rendere sempre più difficile il rapporto di Benji con i genitori, con la moglie Michaela e la figlia Shiva. L’estraniarsi dalla vita reale per rincorrere un enigmatico sorriso porta il giovane medico a intraprendere un lungo viaggio nella geografia di sentimenti e passioni che sembrano sfuggire a ogni ragionevole interpretazione. Splendida traduzione.
Così, con la sensazione di un addio un po’ vero e un po’ finto, proseguii lungo la via delle delegazioni straniere, che percorrevo ogni giorno per andare al liceo, scrutando le tanto familiari facciate delle case, fermandomi a leggere le targhe appese alle porte.
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