Tra me e il mondo
Per questa donna la schiavitù non è una parabole. E’ una maledizione. E’ la notte senza fine. La lunghezza di quella notte è la parte più considerevole della nostra storia. Non dimenticare che in questo Paese siamo stati schiavi più a lungo di quanto siamo stati liberi. Non dimenticare che duecentocinquanta anni fa i neri nascevano in catene, intere generazioni seguite da altre generazioni che conoscevano solo catene.
Tra me e il mondo è una lettera che l’autore scriva al figlio Samori nel giorno del suo quindicesimo compleanno. una lettera che è un testamento che raccoglie la storia dell’infanzia dell’autore, della sua famiglia, dei suoi antenati. Una storia personale intrecciata alla storia degli Stati Uniti che parte dai carichi di schiavi dalle coste dell’Africa occidentale per approdare a Ground Zero dove avevano luogo le aste dei mercanti di uomini, donne e bambini e prosegue nelle piantagioni dell’ America del Sud fino all’ abolizione della schiavitù nel 1863 con il Proclama dellì Emancipazione di Lincoln. Proclama che di fatto ha sancito la segregazione razziale. Periodo buio della storia Americana che arriva fino agli anni 60 quando a seguito delle numerose battaglie condotte dai movimenti per i diritti civili, l’insurrezionalismo di Malcom X e la marcia pacifica di Martin Luther King, nel 1964 venne approvato il Civil Right Act e nel 1965 il Voting Rights Act. Storia che Coates narra attraverso la sua formazione scolastica, universitaria alla Howard University e di vita, perché è la vita nelle strade, nelle città che determina ogni gesto: nel caso di Coates nascere e vivere dalla parte sbagliata di Baltimora. L’autore delinea attraverso la lettera al figlio la storia universale e mai terminata del razzismo, che prosegue oggi sulle strade d’ America con l’uccisione ingiustificata di persone di colore. Con una scrittura potente, al ritmo incalzante di un rap, la lettera al figlio Samori è una lunga riflessione sulla razza e sull’incolumità fisica dell’uomo di colore: l’unica cosa che può fare un padre per proteggere il corpo di suo figlio da questo irrazionale pericolo, è renderlo consapevole di quali sono le origini, le responsabilità e la storia di questo pericolo fisico che sfocia nel terrore. L’essenziale è che chi nasce nero in America impari a temere per il suo corpo fin dal mattino, appena apre gli occhi. Le parole di Coates sono l’esperienza diretta della morte dell’amico Prince, assassinato mentre andava a trovare la fidanzata, a due passi da casa. Dieci anni dopo, ancora l’ autore si chiede: perché? Ed è lo stessa domanda che ci poniamo noi dopo i fatti di cronaca degli ultimi anni, mesi e giorni e che ha portato alla mobilitazione generale con #blacklivesmatter. Un J’ accuse contro tutti coloro che si credono bianchi e hanno un disperato bisogno di affermarsi come tali e contro l’ America che non riesce a fare i conti con il passato, che non ha mai veramente affrontato e risolto la storia degli Afroamericani. Una lettura doverosa e necessaria per comprendere oltre la retorica e le frasi fatte. Splendida la traduzione di Chiara Stangalino, che mantiene inalterato il ritmo della lingua originale.
Michael Brown non è morto come molti dei suoi sostenitori hanno sempre pensato. E ancora, non vengono mai poste le domande dietro le domande. L’assalto a un pubblico ufficiale deve essere ritenuto un reato da pena capitale, da eseguire sul posto, senza processo, con l’assalito che fa da giudice e da boia? E’ questo che vogliamo sia la civiltà?
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